Grazia Deledda

Gràssia

Scrittrice italiana (Nuoro 1871 – Roma 1936). Scrittrice intensa e feconda, la sua fama si diffuse anche all’estero; nel 1926 le fu conferito il premio Nobel per la letteratura. La sua narrativa muove dal verismo a fondo regionale e folcloristico: cronache e leggende paesane, storie di passioni elementari e di esseri primitivi; ma a un mondo del peccato e del male, sentito come fatalità, e rappresentato con cupi accenti, si accompagnano o piuttosto si contrappongono un’ansia di liberazione e di riscatto, un estroso e romantico senso della vita, che trovano espressione soprattutto nella leggerezza idillica e trasognata del paesaggio.

 

VITA E OPERE

Sposatasi nel 1900 con P. Madesani, si trasferì a Roma. Esordì giovanissima con novelle e romanzi, pubblicati in modesti giornali e riviste; la prima notorietà le venne dal romanzo Anime oneste (1895), presentato da R. Bonghi, a cui seguirono La giustizia, 1899; Dopo il divorzio, 1903, ristampato col titolo Naufraghi in porto, 1920; Elias Portolu, 1903; Cenere 1904; L’edera, 1908; ecc., che presentano inconciliati i termini del dualismo tra il mondo del male e l’ansia del riscatto. Ma via via, come quella visione religiosa che la D. ha della vita viene temperando il suo biblico rigore in un senso di cristiana pietà, così quel contrasto tra verismo e lirismo viene sempre meglio componendosi in un’aria incantata, favolosa, dove le vicende umane arcanamente s’intrecciano con quelle della natura e del paesaggio. Le novelle di Chiaroscuro (1912), i romanzi Colombi e sparvieri (1912) e Canne al vento (1913) segnano i varî gradi di questo processo di fusione tematica e stilistica, il quale culminerà nei romanzi e racconti del cosiddetto secondo periodo o maniera della D. (Il segreto dell’uomo solitario, 1921; Il Dio dei viventi, 1922; Annalena Bilsini, 1927; La vigna sul mare, 1932; Cosima, post., 1937; ecc.), che mostrano come la sua narrativa, affrancatasi ormai da ogni regionalismo, per certi aspetti partecipi (fra gli autori prediletti della D., insieme con Verga e i romanzieri russi, ci fu sempre D’Annunzio) di quell’atteggiamento della sensibilità e del gusto che va sotto il nome di “decadentismo”.

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